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Come è noto, il decreto legge sulla giustizia civile 83/2015, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 ha reintrodotto nei concordati una soglia di soddisfacimento minimo dei creditori chirografari, fissandola al 20%. La norma, unitamente all’eliminazione del silenzio assenso al momento del voto, è stata salutata dai più come disposizione di maggior tutela dei creditori. Mentre quest’ultima misura riequilibra il rapporto debitore- creditori, prima sbilanciato a favore del debitore, la soglia percentuale, pur riducendo l’entità dei sacrifici richiedibili, appare un ritorno al passato con significativi impatti sulle prospettive di risanamento.
E’ noto che c’è stato in passato qualche abuso, ma la maggior parte sono stati debitamente sanzionati dai tribunali. A quasi un anno dall’entrata in vigore della norma, il timore è, invece, che il pendolo legislativo si sia mosso più sulla suggestione di alcune vicende che non sulla base della reale necessità del paese di disporre di strumenti efficienti per il salvataggio delle imprese risanabili.
Uno sguardo al passato può chiarire la questione. Come è noto, prima della riforma del 2005 il concordato preventivo era considerato un beneficio concesso all’imprenditore onesto ma sfortunato. Il debitore poteva sottrarsi all’onta del fallimento garantendo ai propri creditori il pagamento del privilegio e di almeno il 40% del chirografo o, in alternativa, la cessione di tutti i propri beni purché ipoteticamente sufficienti a raggiungere la stessa percentuale.
Anche a ragione della sua rigidità lo strumento aveva un modesto utilizzo. Ad esempio, a Milano i concordati ammessi non hanno praticamente mai superato la trentina all’anno, con un numero di omologhe assai ridotto. Nel 2004, anno precedente la riforma erano ammessi 24 concordati e omologati 8.
Soprattutto il concordato riusciva di rado ad esprimere una valenza risanatoria, anche se consentiva (nei concordati eseguiti) percentuali di soddisfazione dei creditori chirografari non troppo distanti dal 40% fissato per legge. Tra le poche ricerche empiriche sul tema un’analisi dell’Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese (OCRI), svolta su un campione di 542 concordati ammessi tra il 1989 e il 2002 presso sei tribunali (e pubblicata ne I quaderni della Scuola di Alta Formazione, n.57/2015) ha confermato gli aspetti di inefficienza indicati dalla dottrina.
- l’eccessiva rigidità della procedura che, da un lato limitava l’accesso e, dall’altro faceva sì che oltre l’80% dei concordati presentati avvenisse con la forma per cessione dei beni;
- il fallimento in oltre la metà dei concordati ammessi e la durata eccessiva (in media oltre 6 anni) dei concordati andati a buon fine;
- l’accesso da parte di imprese decotte con una elevato rapporto di leverage che comprometteva ogni prospettiva concreta di risanamento. In particolare i concordati misti, tipicamente preceduti dall’affitto d’azienda, erano solo l’11% dei casi.
La riforma del 2005 ha in buona parte modificato tale stato di cose. Il concordato preventivo, grazie alla flessibilità concessa riguardo alle caratteristiche del piano e alla possibilità di mantenere il controllo dell’impresa, è risultato particolarmente appetibile. A livello nazionale vi è stata una vera e propria esplosione: secondo dati Cerved, i concordati sono passati dai 381 del 2006 ai 1.819 del 2014.
Tra questi numerosi sono quelli debitamente omologati in cui, a fronte di modeste percentuali offerte, i creditori hanno comunque ritenuto preferibile approvare il concordato, ritenendo evidentemente l’alternativa fallimentare ancora meno appetibile.
I dati OCRI relativi al Tribunale di Milano mostrano come su un campione di 553 concordati (su 1196 presentati tra il 2005 e il 2014) importi inferiori al 20% siano stati offerti ai creditori chirografari nel 48% dei casi. Peraltro la percentuale di omologa 47% non è poi così distante da quella (62%) dei concordati più ricchi.
Negli ultimi anni si è anche assistito a un ricorso alla procedura da parte di gruppi di grandi dimensioni tra i quali (solo per citarne alcuni) I Viaggi del Ventaglio S.p.A., Mariella Burani Fashion Group S.p.A. e l’ospedale S. Raffaele. Tali imprese, pur soddisfacendo i requisiti legislativi, per l’amministrazione straordinaria hanno preferito presentare domanda di concordato preventivo. Al di là degli esiti, non tutti favorevoli, si può ritenere che l’ampio ricorso all’istituto sia dipeso anche dalla maggiore flessibilità nel formulare la proposta ai creditori.
Ovviamente per formulare un giudizio compiuto sarà necessario attendere le statistiche più recenti ma è forte il timore che le nuove misure portino a una significativa riduzione dei concordati prima che sia compiuta l’integrale riforma della materia
Fonte:
Report OCRI 2013 – L’interesse accademico sui temi di crisi e risanamento delle imprese
Report OCR 2014 – Osservazioni empiriche in tema di concordato preventivo Il caso del Tribunale di Milano
Autore: Prof. Alessandro Danovi